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Il profumo come narrazione personale: intervista alla profumiera Giulia Brigliadori

Un articolo di Marco Martello

Giulia Brigliadori, profumiera di Farotti Essenze, racconta il suo percorso in un mondo fatto di molecole, ricordi e immaginazione. Dall’infanzia in campagna al premio Aromata, passando per la creazione di “Spirit of Romagna” e la passione per le note orientali, questa intervista è un viaggio tra emozioni, ricerca creativa e identità olfattiva.

Buona lettura!

Innanzitutto, qual è l’odore che ti riporta alla tua infanzia?

Ho passato molto tempo della mia infanzia dai miei nonni in campagna, aiutandoli in diverse attività come raccogliere l’uva per fare il vino, le fragole e le pesche. L’odore dolce e succoso di questi frutti rimarrà per sempre ben impresso nella mia mente.


Giulia, cosa ti ha spinto a intraprendere una carriera da profumiere?

A differenza di molte persone la mia non è stata una scelta premeditata, ma è successo in modo casuale e inaspettato. Ho conosciuto la realtà Farotti grazie a un tirocinio tramite l’Università di Chimica di Rimini. A quel tempo sognavo di laurearmi e lavorare nell’industria farmaceutica. Durante il tirocinio però ho scoperto un mondo magico che mi ha incantato e appassionato subito, tanto da non farmelo più lasciare.


Ciò detto, qual è il ricordo olfattivo a cui sei più legata?

L’odore verde di erba tagliata, mi ricorda la campagna della mia infanzia, i pomeriggi di spensieratezza durante le vacanze estive, la pace che solo la natura sa darmi.


Da otto anni a questa parte, lavori come profumiere in Farotti Essenze. Quali sfide hai dovuto affrontare lungo il tuo percorso nel mondo dei profumi? E quali conquiste ti hanno riempito di orgoglio, gioia e soddisfazione?

Sembrerà banale ma ogni giorno il nostro lavoro ci richiede di entrare in empatia con il cliente, carpire il messaggio e le emozioni che vuole trasmettere tramite il suo profumo e tradurlo in note olfattive, se non è una sfida questa!

Sono fortunata perché ho fatto diverse conquiste che mi hanno riempito di gioia e soddisfazione ultimamente. Una di quelle di cui vado più fiera è la creazione del profumo “Spirit of Romagna”, lanciato da Farotti per sostenere le vittime dell’alluvione in Romagna di maggio 2023. In particolare, il ricavato è stato devoluto al centro socio-riabilitativo “Ca’ Santino” che ha subito diversi danni durante l’alluvione.


Pensi che il tuo approccio personale al profumo sia cambiato da quando sei entrata a far parte di quest’industria?

Assolutamente sì. Prima di entrare in Farotti si può dire che non indossassi profumi. Quei pochi che usavo erano profumi molto dolci e vanigliati. Questa mia passione per la vaniglia si è evoluta nei profumi orientali e fioriti ricchi, che oggi sono diventati anche un po’ la mia firma olfattiva.


“Obscurus”, il profumo con il quale hai partecipato all’edizione 2025 del Premio Aromata, ti ha valso un importante riconoscimento, ovvero il Persolaise Award. Ci puoi raccontare in che modo è nata questa tua creazione?

Sono sempre stata affascinata dal mondo dark fantasy e Dracula è uno dei miei romanzi preferiti. Ho deciso di partecipare ad Aromata proprio per avere l’opportunità di dedicargli un profumo, che avevo già in mente: doveva essere oscuro, misterioso, ma anche sensuale e proibito. Così è nato Obscurus, un profumo legnoso di cuoio dove emerge una nota dolce di ciliegia e amarena.


Giulia, quali sono le materie prime che ti affascinano di più? E quali sono, invece, gli elementi che identificano la tua firma olfattiva?

Come dicevo sono attratta da tutte le materie prime che costituiscono l’accordo orientale: note ambrate, resine e assolute, legni morbidi, note gourmand. Nell’ultimo periodo si sono aggiunti alla lista anche i fiori narcotici come gelsomino, tuberosa e osmanto. Queste sfaccettature sono sempre presenti nelle mie creazioni, tanto da essere diventate la mia firma olfattiva.


Tornando al processo creativo, come sai quando è arrivato il momento di mettere la parola fine a un processo che è potenzialmente infinito e condividere il frutto del tuo lavoro con il resto del mondo?

Per fortuna il profumiere non svolge tutto il lavoro da solo, per avere un’opinione più oggettiva collabora con altre figure come gli evaluator e/o il direttore creativo, che aiutano a interpretare il brief e a porre la parola fine allo sviluppo della fragranza. In generale, sottopongo a queste figure il profumo quando per me ha raggiunto un grado di equilibrio e maturazione soddisfacenti e quando corrisponde a quello che mi ero immaginata.


Quale consiglio daresti a chi come te vorrebbe intraprendere la carriera di profumiere?

Studiare tanto ed esercitarsi ancora di più! Essendo un lavoro pratico e “artigianale”, credo che non ci sia altro modo per imparare questo mestiere se non mettendo continuamente le mani in pasta. Solo così si imparano le interazioni tra le molecole, quali accostamenti funzionano meglio, quali sono i dosaggi migliori, ecc.


Per concludere, ci puoi dare un piccolo assaggio di ciò a cui stai lavorando?

Sono diversi i progetti a cui sto lavorando, tutti cavalcano l’onda delle tendenze del momento: i profumi gourmand e fruttati. Essendo, come avrete capito, tra le mie note olfattive preferite, sono molto contenta di lavorare a questi trend!


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Marco Martello

Laureato in “Comunicazione e Psicologia” all’Università degli Studi di Milano-Bicocca e specializzato in “Fashion Direction: Brand & Communication Management” presso il Milano Fashion Institute, Marco Martello è un collezionista di fragranze, nonché un esperto di comunicazione scritta con un’esperienza pluriennale nel mondo dell’editoria indipendente. Nel corso degli anni, oltre a collaborare con testate nazionali e straniere, ha svolto l’attività di copywriter e correttore di bozze sia nel settore del luxury che in quello del fashion, ampliando le sue competenze tecniche e consolidando la sua conoscenza delle dinamiche che sottendono i processi di comunicazione contemporanei. Oggi Marco ricopre il ruolo di Managing Editor & Beauty Director della rivista indipendente “The Greatest”, e si dedica all’insegnamento nell’ambito della comunicazione di moda e beauty in alcuni tra i più prestigiosi istituti italiani

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L’ arte di farsi ricordare: guida al branding olfattivo per le aziende 

l’odore è un potente mago che ti trasporta per migliaia di miglia attraverso tutti gli anni che hai vissuto

La citazione sopra arriva da Helen Keller – scrittrice, attivista e insegnante statunitense di inizio ‘900 – catturando con rara sensibilità il legame profondo tra memoria e olfatto. Ogni fragranza è una chiave invisibile capace di aprire stanze dimenticate della nostra memoria.

Ateneo dell’Olfatto studia da anni questo potere, trasformando l’acquisto di un prodotto in un’esperienza emotiva e multisensoriale. Questa filosofia prende forma concreta nel marketing olfattivo e si sublima nel branding olfattivo: l’arte, e insieme la scienza, di imprimere un’identità unica e riconoscibile ai brand attraverso l’olfatto. Un’impronta sensoriale che parla silenziosamente di valori, atmosfere, stile.

Il branding olfattivo dialoga direttamente con il sistema limbico, dove nascono emozioni e ricordi. È qui che si radica la forza di una fragranza: nel lasciare un segno profondo e duraturo, molto più di qualsiasi logo o slogan. Uno studio del Sense of Smell Institute ha evidenziato che ricordiamo un odore con una precisione del 65% anche a distanza di un anno, mentre il ricordo di un’immagine tende a dissolversi del 50% già dopo tre mesi. 

In questo articolo ti raccontiamo perché sempre più brand scelgono di raccontarsi attraverso l’universo sensoriale del marketing olfattivo — e come anche la tua azienda può intraprendere questo percorso. 

Se vuoi approfondire ulteriormente, esplora il nostro corso dedicato al marketing olfattivo e lasciati guidare in un viaggio tra emozioni e identità. 

Buona lettura!


L’unicità racchiusa in una molecola

Scegliere un profumo personalizzato significa tradurre l’essenza del proprio brand in una forma intangibile ma indelebile. Lo scent marketing – così chiamato dalle nostre controparti d’oltreoceano – permette di guardare all’identità aziendale da una nuova prospettiva, cogliendone le sfumature emotive e trasformandole in note olfattive capaci di emozionare. 

È qui che i profumieri si fanno artigiani della memoria: attraverso la loro maestria, un brand può parlare direttamente al cuore del proprio pubblico. Il profumo può accompagnare momenti simbolici, come festività o ricorrenze, rafforzando ogni anno l’associazione emotiva tra marca ed esperienza. Ma può anche diventare un dono, un oggetto esclusivo da portare sempre con sé. Una fragranza ben studiata, raffinata e coerente, aumenta il prestigio percepito e rende un marchio più desiderabile. 


Chi crea profumi, crea mondi 

Per realizzare un profumo su misura, esistono diverse realtà. Le maison di profumeria artistica, legate al mondo del lusso, raccontano storie sofisticate attraverso composizioni originali e packaging evocativi. 

Ci sono poi i laboratori boutique, eccellenze artigianali che operano con filiere trasparenti e ingredienti naturali, offrendo una cura sartoriale ad ogni creazione. 

Infine, gli studi creativi di nicchia: team multidisciplinari capaci di coniugare arte e olfatto in progetti su misura, immersivi e concettuali. Qui il profumo diventa parte di un’esperienza totale, da vivere prima ancora che indossare. 

In Italia, Farotti Essenze incarna questo savoir-faire con passione e rigore, offrendo servizi di private label da oltre cinquant’anni. 

Ma il cuore pulsante di ogni creazione resta l’incontro intimo tra il brand e il naso profumiere. Ed è lì che comincia il vero viaggio. 


Il linguaggio invisibile della fragranza 

La creazione di un profumo personalizzato segue un processo tanto artistico quanto strategico. Tutto inizia da un colloquio approfondito, in cui il cliente racconta la propria identità, i propri valori, le atmosfere che desidera evocare. 

Su queste basi nasce un moodboard olfattivo: una mappa sensoriale che traduce emozioni e concetti in note profumate. Questo strumento guida la scelta delle materie prime e definisce il tono della fragranza: può essere avvolgente e sensuale, luminosa e frizzante, calda e rassicurante. 

Il profumiere seleziona poi le note, componendo un racconto olfattivo capace di sedurre con le note di testa, affascinare con quelle di cuore e lasciare una scia memorabile con le note di fondo. Ogni accordo diventa così parte del DNA emozionale del brand. 


Quando il profumo incontra il pubblico 

Una fragranza personalizzata per un marchio trova la sua massima espressione quando incontra le persone. In eventi esclusivi, come un gala o una presentazione, diffonderla nell’aria o donarla agli ospiti amplifica il valore simbolico dell’esperienza e lascia un ricordo indelebile. 

Molti hotel di alta gamma hanno scelto il branding olfattivo per creare atmosfere familiari e raffinate, capaci di accogliere prima ancora della parola. Lo stesso vale per i brand di moda, che inseriscono le proprie fragranze tra i capi di collezione, rendendole parte integrante dell’identità stilistica.  

Quando Dunkin Donuts ha diffuso l’aroma del caffè nelle fermate dell’autobus, ha aumentato del 16% le visite e del 29% le vendite. Un esempio emblematico, che mostra come l’olfatto incida sul comportamento d’acquisto in modo sottile ma potente (cnbc.com). 

I profumi portano benefici anche in ambienti come gli uffici e gli ospedali. Secondo la Harvard Business Review, l’utilizzo di fragranze migliora la produttività e la creatività fino al 31%, mentre uno studio riportato da Mood Media ha dimostrato che i pazienti di una struttura sanitaria statunitense esposti a un aroma di vaniglia hanno sperimentato un livello di ansia inferiore del 63% rispetto agli altri ospiti (Ansa.it). 

Il marketing olfattivo consente di ottenere risultati soddisfacenti proprio perché gli odori, elaborati inconsciamente dal sistema limbico del cervello umano – responsabile anche delle emozioni – impattano in maniera positiva su elementi quali apatia, depressione e stress. Inoltre, ogni fragranza viene percepita diversamente da ciascun individuo, generando emozioni del tutto soggettive e creando un legame unico tra il brand e il singolo. 

Il branding olfattivo è una strategia che coinvolge, fidelizza e distingue. 

Perché il profumo, come un ricordo prezioso, ha bisogno solo di un istante per restare per sempre. 

Se desideri scoprire come dare voce al tuo brand attraverso l’olfatto, i corsi di Ateneo dell’Olfatto ti aspettano. Oppure, lasciati ispirare dagli articoli del nostro blog e immergiti in un mondo fatto di molecole ed emozioni. 



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In punta di naso – Narici e cervello si parlano oppure no?

Un articolo di Anna D’Errico

Perché è così difficile trovare le parole per descrivere un odore?
Da secoli l’olfatto è considerato un senso “minore” e il suo legame con il linguaggio è oggetto di dibattito tra neuroscienziati e linguisti. In questo articolo, Anna D’Errico ci accompagna in un viaggio tra anatomia, cultura e percezione per capire se naso e cervello parlano davvero la stessa lingua.

Buona lettura!


Annusi qualcosa e ti sembra di riconoscerlo, ti è familiare; annusi ancora, poi l’irritazione: che cos’è questo odore? C’è un velo oscuro, una nebbia che rende la sua presenza un po’ vaga, cerchi di ricordare, di ritrovare un’immagine, una parola.

Quella parola manca e il nome dell’odore resta lì, sulla punta del naso, inespresso.

Ti è mai capitato? È in effetti un fenomeno molto diffuso e così comune che per molto tempo gli scienziati hanno creduto ci fosse una precisa ragione anatomica e fisiologica: le aree cerebrali del linguaggio e dell’olfatto non comunicano, non si parlano. Due vicini di condominio che non si sono mai incontrati. 

Ma è davvero così?


Abbagli del passato

L’olfatto nel corso dei secoli è stato spesso non solo considerato un senso minore, al pari del tatto, ma relegato alla sfera della sensualità animale e di una conoscenza “fisica”, legata al corpo e alla carne più che all’intelletto. A riprova di ciò, proprio la constatazione di come trovare parole adeguate per descrivere un odore sia difficile: gli odori sono effimeri e le sensazioni che evocano spesso molto emotive, legate a sentimenti e ricordi. Nulla di adeguato a un’indagine oggettiva della realtà. Così, per esempio, il filosofo Immanuel Kant lo aveva definitivamente relegato a senso suggestionabile e di cui meglio non fidarsi: Noi esseri umani saremmo trasportati e distratti troppo facilmente da gusto e olfatto, e le reazioni viscerali che ne derivano ostacolerebbero il pensiero logico.

A conferma di tali affermazioni, nel diciannovesimo secolo gli studi anatomici e le nascenti neuroscienze sembrarono trovare prove tangibili del fatto che l’olfatto fosse poco importante per la cognizione umana. In particolare, fu Paul Broca a dare una chiara definizione degli esseri umani come esseri microsmatici (ovvero con un olfatto poco sviluppato), alla luce dei suoi studi anatomici sul cervello dell’uomo e di altri animali. Se il suo nome suona familiare è proprio perché, ironia, un’area del cervello importante proprio per la comprensione e produzione linguistica porta il suo nome: l’area di Broca, appunto, nel lobo frontale del cervello.


Breve nota anatomica

Dal punto di vista anatomico l’olfatto è diverso dagli altri sensi: dal naso, dove sono localizzati i recettori olfattivi, partono nervi cranici (primo nervo cranico) che vanno al bulbo olfattivo, prima stazione cerebrale dell’input olfattivo, e poi direttamente a diverse aree cerebrali che, dal punto di vista evolutivo, sono antiche: la corteccia olfattiva e le aree limbiche (ippocampo, amigdala, corteccia entorinale). Queste connessioni, diversamente da ciò che avviene per esempio con vista e udito, saltano una stazione cerebrale chiamata talamo, che funziona un po’ come un centralino per i segnali in entrata e uscita dal cervello. Inoltre, la corteccia olfattiva ha un’organizzazione diversa da quella di altre aree come, dicevamo, quella visiva. In generale, la corteccia è la parte del cervello umano più sviluppata (chiamata spesso in gergo comune “materia grigia”) è quella che con l’evoluzione si è sviluppata e ingrandita di più rispetto agli altri animali, ed è formata, come in tutti i mammiferi, da 6 strati diversi. La corteccia olfattiva però ha una struttura più primitiva, simile a alla corteccia dei rettili, con solo tre strati. Infine, come osservò lo stesso Broca, le dimensioni del bulbo olfattivo rispetto a quelle del resto del cervello sono minuscole se comparate a quelle di altri animali come, per esempio, topi o cani.

Tutte queste osservazioni, che dal punto di vista anatomico sono corrette, ci raccontano tuttavia solo una parte della storia. Alla luce degli studi neuroscientifici più recenti, oggi sappiamo che seppure le dimensioni relative del bulbo olfattivo siano inferiori a quelle di altri animali, l’essere umano compensa molto probabilmente con capacità cognitive più elaborate e dimensioni maggiori delle altre aree cerebrali coinvolte nel messaggio olfattivo. Infatti, l’olfatto umano è tutt’altro che scarso. 

Resta tuttavia aperta la questione del linguaggio.


Diatribe che sanno di pop-corn e cannella

Dicevamo all’inizio, irritazione: la parola che sfugge. Perché, fondamentalmente, alla base di questi interrogativi tra anatomia e fisiologia del cervello c’è questa domanda: Come si fa a trasformare le sensazioni e ciò che percepiamo in qualcosa di comprensibile anche agli altri? 

Se ti dico che ho visto un tramonto “rosso fuoco” come faccio a essere sicura che nella tua testa si formerà la stessa immagine di “rosso fuoco” che ho visto io? Come faccio a sapere che il tuo rosso è come il mio? Non puoi. Ma il linguaggio in questo un po’ aiuta.

Per quanto ogni persona sia un mondo a sé e le percezioni sensoriali siano estremamente variabili e soggettive, grazie anche al linguaggio e a quel insieme di abitudini, tradizioni, modi di vivere, fare, abitare ecc. che chiamiamo “cultura” riusciamo quasi sempre ad avere dei riferimenti comuni. Si chiamano convenzioni, in parte riflesse anche nella lingua che parliamo e, fondamentalmente, ci permettono di capirci e comunicare. Questo è un passaggio importante: il linguaggio che usiamo per descrivere ciò che vediamo, ascoltiamo, tocchiamo, annusiamo, è anch’esso un costrutto sociale, una convenzione arbitraria, ci serve per capirci. Muta, evolve e, soprattutto, non è oggettivo ma riflette appunto un “modo di descrivere” il mondo, se vogliamo. D’altra parte anche le nostre percezioni sono soggettive: il rosso che per noi è “fuoco” per un’altra persona potrebbe avere un tono leggermente diverso e per un altro animale addirittura non essere rosso; quel “rosso” insomma non è fuori ma nel nostro cervello, esattamente come l’odore (non è questa la sede, ma dipende da un misto di genetica, fisica, recettori olfattivi e come il cervello funziona). Solo che il colore ci viene subito a parole e l’odore no.

Ed ecco come torna il discorso sulla divisione fra “sensi nobili” (vista e udito) e sensi “animali” (tatto e olfatto) fatta nella tradizione classica occidentale. Il linguaggio che abbiamo costruito intorno all’olfatto è relativamente povero e poco accurato rispetto a quello sviluppato per descrivere toni, forme e colori. Ci abbiamo prestato più attenzione, vi abbiamo dedicato nel corso della storia più studi e ci siamo abituati a parlare descrivendo il mondo con termini visivi.

Questa è una delle spiegazioni (semplificate) del perché culturalmente l’olfatto è, come è stato definito dalla storica Diane Ackerman un “senso muto”. Dal punto di vista neuroscientifico la questione è ancora fonte di dibattitto e in realtà non si è ancora raggiunti un consenso scientifico completo. Esistono al momento due teorie principali per spiegare la disconnessione olfatto-linguaggio, due ipotesi non del tutto auto-escludenti. La prima, portata avanti da scienziati come Jonas Olofsson and Jay Gottfried, sostiene che le aree cerebrali del linguaggio non abbiano connessioni abbastanza dirette e complesse con le aree olfattive. Inoltre, il fatto stesso che la corteccia olfattiva, come dicevamo sopra, abbia una struttura più primitiva, rispetto, per esempio, alle aree visive ultra-specializzate, porterebbe a pensare che l’olfatto segua un’altra modalità. L’odore lo “senti” dentro prima di riuscire a nominarlo. 

La seconda ipotesi, invece, avanzata negli ultimi anni da Asifa Majid e altri neurolinguisti, propenderebbe per una carenza più culturale che neuroanatomica. La scienziata, conducendo studi linguistici e sulla capacità di nominare gli odori presso popolazioni diverse da quelle europee e che parlano inglese, come gli Jahai in Indonesia, ha riscontrato un linguaggio olfattivo più elaborato e astratto rispetto ai primi. Ciò suggerirebbe che le difficoltà a descrivere gli odori non siano strutturali, ma apprese. 

Per esempio, la parola in jahai cŋǝs (pronunciata “cheng-us” in inglese) viene usata per descrivere l’odore di cannella, ma anche quello di aglio, cipolla, caffè, cioccolato e cocco. Hanno cioè un termine olfattivo astratto che descrive questi diversi odori, così come noi usiamo la parola “rosso” per riferirci a oggetti diversi: mela, vestito, tramonto. Altre parole, invece vengono usate per descrivere l’odore che noi associamo ai pop-corn e loro invece associano ad alcuni animali selvatici e certe piante. 


Conclusioni in sospeso…

Chi ha ragione? Al momento la questione è aperta e si propende per una teoria che in qualche modo unifichi queste due. Alla base della diatriba vi è un altro fatto ancora non del tutto chiarito: come si forma un odore nella nostra testa?

Secondo Majid, l’odore, e quindi la sua descrizione, sarebbe una caratteristica che il cervello attribuisce a ciò che annusa, come facciamo con i colori. Per Olofsson e colleghi, invece, l’odore nel cervello diventa l’oggetto stesso, cioè nel momento in cui dico che quella cosa “sa di pop-corn” per il cervello è come se quel odore fosse pop-corn. E a sostegno di questa ipotesi vi sono molti dati scientifici. 

La cosa interessante è che mela, vestito e tramonto possono in certe situazioni essere di colore rosso, una qualità abbastanza precisa, e sappiamo a quale grandezza fisica corrisponda – nello spettro della luce visibile e lunghezza d’onda. E nel caso di questi odori? Si sarebbe portati a pensare che le popolazioni citate da Majid siano in grado di notare e percepire meglio le varie sfaccettature olfattive di cui è composto un oggetto-odore. Cosa hanno in comune aglio, cipolla, cioccolato e caffè? Ci sono alcune molecole e sfaccettature in comune, ma perché loro le sentono e noi no? allenamento? Genetica? Un misto di entrambe le cose?

Ancora non lo sappiamo per certo; abbiamo la risposta in punta di naso.


Riferimenti bibliografici:

Olofsson JK, Gottfried JA. The muted sense: neurocognitive limitations of olfactory language. Trends Cogn Sci. 2015;19(6):314-321

Majid A. Human Olfaction at the Intersection of Language, Culture, and Biology. Trends Cogn Sci. 2021;25(2):111-123. 

atropoulos G, Herman P, Lansner A, Karlgren J, Larsson M, Olofsson JK. The language of smell: Connecting linguistic and psychophysical properties of odor descriptors. Cognition. 2018;178:37-49.Deroy O. Olfactory abstraction: a communicative and metacognitive account. Philos Trans R Soc Lond B Biol Sci. 2023;378(1870):20210369.


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Anna D’Errico

Anna D’Errico è neuroscienziata, divulgatrice scientifica e artista performer con una grande passione: l’olfatto. Attraverso il suo progetto The Neurosmellist, intreccia ricerca, arte e scrittura per raccontare il mondo dei profumi e delle sensazioni invisibili, rendendolo accessibile a tutti.

Ha pubblicato libri come Profumo di niente — indagine empatica su cosa accade quando si perde l’olfatto — e Il senso perfetto, che esplora la scienza dietro la percezione.

Promuove workshop esperienziali, corsi online e progetti artistici che mettono il naso al centro della riflessione tra mente, cultura e corpo.

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Profumi sostenibili: il lato green dell’industria della profumeria

Un articolo di Marco Martello

Nel suo articolo per il nostro blog, Marco Martello ci guida alla scoperta del lato più sostenibile dell’industria del profumo: flaconi ricaricabili, ingredienti naturali o riciclati e nuove pratiche produttive stanno trasformando un settore da sempre legato al lusso in una frontiera sempre più green.

Buona lettura!


Il profumo incontra la sostenibilità

Flaconi ricaricabili, materie prime naturali, processi di lavorazione sostenibili, e attività vol­te alla promozione della causa ambientalista. L’attenzione verso il pianeta Terra e la sua protezione non è mai stata così forte, e l’industria del profumo non è rimasta indifferente alle richieste di consumatori sempre più attenti e informati. Scopriamo insieme il lato più verde della profumeria contemporanea!


Un interesse crescente… ma compatibile con l’ambiente?

Quello per il profumo è un interesse ormai generalizzato. Vista l’enfasi che negli ultimi anni è stata posta sulla causa ambientalista, sorge però spontaneo chiedersi se un tale interesse possa convivere con l’attenzione nei confronti dell’ambiente e della sua protezione.

Molti sono i brand che hanno cercato di trovare una risposta a questa particolare domanda, offrendo delle soluzioni con le quali ridurre o, se non altro, contenere l’impatto ambientale di una delle industrie più dinamiche e floride dei nostri giorni.


Naturale o sostenibile? Facciamo chiarezza

Prima di entrare nel merito delle proposte sopraccitate, è necessario fare un passo indietro e soffermarsi, anche solo per un istante, su un aspetto che sembra essere motivo di non poca confusione, ovvero la differenza tra naturale e sostenibile.

Con il primo di questi due aggettivi, si fa riferimento a fragranze che sono composte da sole materie prime di origine naturale, come ad esempio gli oli essenziali che vengono estratti da fiori e piante. L’aggettivo “sostenibile” ha, invece, un significato più ampio, che abbraccia l’intero sistema produttivo, prendendo in considerazione sia il modello gestionale complessivo di un’azienda che l’impatto ambientale di ogni fase del processo di creazione di un profumo.

A tal proposito, è importante sottolineare che, oltre a rappresentare un potenziale pericolo per la salute a causa degli allergeni contenuti in numerose materie prime di origine naturale, alcuni ingredienti richiedono un impiego di risorse a dir poco ingente per la loro coltivazione e successiva lavorazione, e non si prestano quindi a una produzione sostenibile.

Un esempio può essere rappresentato dall’olio essenziale di rosa, poiché servono ben cinque tonnellate di petali per ottenere un kilo di olio. In questo caso e in molti altri ancora, le molecole di sintesi rappresentano un valido alleato, ed è quindi importante sfatare il mito che vede tutto ciò che è prodotto di laboratorio come qualitativamente inferiore.

In definitiva un profumo naturale non può essere definitivo “eco-friendly” a meno che non siano rispettate condizioni ben precise. È per questa ragione che bisogna fare uno sforzo per andare oltre le etichette, e valutare sempre ciò che un’azienda fa nel concreto per essere definita “sostenibile”.


Esempi virtuosi: il caso Hima Jomo

Tra i brand di nicchia che impiegano materie prime di origine naturale, adottano un approccio eco-friendly, e si dedicano ad attività che hanno come obiettivo la promozione della responsabilità sociale e ambientale spicca Hima Jomo, marchio fondato nel 2022 da Vittoria Jiaxin Liu e Randry Glorieux, traendo ispirazione dal territorio dell’Himalaya.

“Da sempre, aderiamo ai principi di trasparenza e sincerità”, ha dichiarato Vittoria Liu, Co-Founder di Hima Jomo. “Ci impegniamo a dare il nostro contributo al pianeta Terra e alla sua salvaguardia, compiendo passi che possano fare la differenza.

Nell’orientarsi verso un brand, i consumatori dovrebbero chiedersi se il marchio in questione ha un impatto positivo sull’ambiente e la comunità, non limitandosi a rincorrere un appagamento sensoriale di breve durata.

Le nostre fragranze sono il risultato di un profondo dialogo con la natura, la storia e la cultura dell’Himalaya. Ogni flacone di profumo racchiude, infatti, al suo interno il nostro rispetto per questo territorio e la nostra dedizione alla sostenibilità”.


Anche i grandi brand abbracciano il cambiamento

Il tentativo di abbracciare la sostenibilità non riguarda soltanto i marchi di nicchia o artistici, ma anche quelli della grande distribuzione.

Tralasciando le maison che si sono focalizzate sul packaging, riducendo l’impiego di plastica e offrendo la possibilità di ricaricare il proprio flacone di profumo a un prezzo ridotto per ridurre gli sprechi, alcuni tra i brand commerciali più apprezzati dal pubblico hanno, per l’appunto, lanciato delle iniziative volte a promuovere la salvaguardia del pianeta Terra.

Kenzo Parfums, ad esempio, ha scelto di sostenere e arruolare come volto delle proprie campagne degli ambassador che hanno fatto propria la causa ambientalista, come ad esempio la floricoltrice e flower activist franco-giapponese Charlotte Masami Lavault, la quale ha creato la prima flower farm della capitale francese.


Nuove frontiere: ingredienti riciclati e upcycled

Tornando agli ingredienti contenuti all’interno delle fragranze che vaporizziamo sulla nostra pelle, da qualche anno a questa parte nel mondo della profumeria vi è la tendenza a utilizzare materie prime upcycled.

Un esempio? Il mandarino impiegato dal marchio francese Liquides Imaginaires per la sua nuova collezione “The Imaginarium”, il quale è ottenuto da un’estrazione simultanea di polpa, succo e scorza.

Analogamente, Etat Libre d’Orange, brand che si è fatto conoscere e apprezzare per il suo approccio fortemente innovativo, ha creato “Les Fleurs Du Dechet – I Am Trash”, profumo realizzato con il solo uso di ingredienti riciclati, collaborando con Givaudan e Ogilvy per chiedere perdono a Madre Natura e far sapere al mondo che è arrivato il momento di agire.


Il futuro è (sempre più) verde

Prevedere la direzione nella quale si muoverà il mercato della bellezza in un futuro non troppo lontano è un compito più difficile di quello che si potrebbe immaginare, ma una cosa sembra essere certa: l’ambiente non sarà un aspetto marginale, bensì uno dei primissimi elementi da tenere in considerazione, non solo nel porre le basi per la creazione di un nuovo marchio ma anche nello sviluppare fragranze per brand già esistenti, che dovranno adattarsi alle esigenze di una società in rapida evoluzione per non rimanere schiacciati sotto il peso di una competizione sempre più stringente.


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Leggi altro dal Blog di Ateneo dell’Olfatto


Marco Martello

Laureato in “Comunicazione e Psicologia” all’Università degli Studi di Milano-Bicocca e specializzato in “Fashion Direction: Brand & Communication Management” presso il Milano Fashion Institute, Marco Martello è un collezionista di fragranze, nonché un esperto di comunicazione scritta con un’esperienza pluriennale nel mondo dell’editoria indipendente. Nel corso degli anni, oltre a collaborare con testate nazionali e straniere, ha svolto l’attività di copywriter e correttore di bozze sia nel settore del luxury che in quello del fashion, ampliando le sue competenze tecniche e consolidando la sua conoscenza delle dinamiche che sottendono i processi di comunicazione contemporanei. Oggi Marco ricopre il ruolo di Managing Editor & Beauty Director della rivista indipendente “The Greatest”, e si dedica all’insegnamento nell’ambito della comunicazione di moda e beauty in alcuni tra i più prestigiosi istituti italiani

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Profumo e identità: come una fragranza può raccontare chi siamo

Un articolo di Marco Martello

In questo articolo, Marco Martello esplora come le fragranze abbiano smesso di coprire gli odori per iniziare a comunicare identità, autenticità e libertà. Dall’oud alle collezioni olfattive, un viaggio nel potere narrativo del profumo.

Buona lettura!


Il profumo come strumento di controllo

Con l’atto del profumarsi si è a lungo cercato di riportare l’ordine in uno stato di caos, cancellando qualsiasi traccia di animalità e, al tempo stesso, domando l’imprevedibilità della natura. Oggi, le cose stanno cambiando. In una società guidata dall’innovazione tecnologica, dalle realtà virtuali e dall’Intelligenza Artificiale, il profumo rappresenta, infatti, la risposta al nostro bisogno di ritrovarci, con la nostra imperfetta autenticità.


L’olfatto tra repressione e rivalutazione

Per molto tempo il profumo ha servito lo scopo di cancellare o, se non altro, nascondere da nasi indiscreti, qualsiasi traccia di animalità. È ironico, a pensarci bene, che questo compito sia stato affidato proprio al mondo delle fragranze. Dopotutto l’olfatto è stato a lungo bistrattato a causa del suo essere un senso primitivo, nonché una chiave di accesso al lato animale in ciascuno di noi. Ciò detto, negli ultimi anni si è assistito a un importante cambio di rotta, con l’impiego di materie prime e la creazione di profumi che hanno rinobilitato tutti quegli odori comunemente visti come sgradevoli. Parlando d’ingredienti, un esempio può essere rappresentato dal popolarissimo oud, che nella sua forma più pura ha un sentore “animalico”, fecale e stallatico. A essere cambiato, però, non è soltanto il contenuto dei flaconi che troneggiano sui comodini, sulle mensole e sui tavolini delle nostre case, ma anche il motivo che ci spinge a far uso delle fragranze in questione: si è infatti passati dall’indossare un profumo per “sapere di buono” al farlo per inviare un messaggio più profondo, che ha a che vedere con la nostra identità personale.


Profumarsi come rituale di autenticità

Quella in cui viviamo è un’epoca ultra digitalizzata, e in questo particolare contesto storico anche coloro i quali hanno sempre rivolto il proprio sguardo al futuro avvertono il bisogno di autenticità, di riscoprire il proprio corpo attraverso gli odori che lo caratterizzano e riappropriarsi così di una dimensione che sembrava ormai essere perduta. L’atto del profumarsi ha, quindi, assunto le sembianze di un rituale in grado di avvicinarci al nostro vero io, rivestendosi di un significato che profuma di liberazione.


Dall’unicità al guardaroba olfattivo

Per fare un passo indietro e tornare al rapporto che ciascuno di noi intrattiene con il mondo delle fragranze, un elemento di rottura, se non altro rispetto al passato, consiste nella scarsa, per non dire scarsissima, fedeltà che si riserva al profumo. Se un tempo vi era la tendenza a pensare che per ogni persona vi fosse un profumo e uno soltanto, oggi l’idea di costruire una collezione o, per dirlo in altre parole, un proprio guardaroba olfattivo è molto più comune di quanto si possa immaginare. Del resto, è il modo in cui concepiamo le relazioni interpersonali a essere cambiato drasticamente. Quella stessa fluidità che abbiamo, per così dire, instillato nei rapporti che instauriamo con le persone che si trovano intorno a noi e con le quali interagiamo nel quotidiano può essere individuata nel modo in cui compiamo un atto performativo che ci avvicina a un sapere profondo, misterioso e, a tratti, oscuro. Anche chi fatica a concepire l’infedeltà come una possibile soluzione a una ricerca che può rivelarsi problematica dovrà ammettere che la nostra identità è in continua evoluzione e difficilmente una fragranza potrà racchiudere in sé un mondo incredibilmente complesso e sfaccettato, rappresentandoci in ogni sfumatura della nostra emotività.


La voce del profumo come specchio dell’identità

Il mercato dei profumi è un mare magnum, le cui acque sono a dir poco impetuose, ma nell’affrontare la scelta di una fragranza ci dovremmo ricordare che ogni profumo ha una sua voce e, se scelto con la dovuta attenzione, può raccontare agli altri chi siamo o chi vorremmo essere tanto quanto l’abito che indossiamo, se non forse di più.


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Marco Martello

Laureato in “Comunicazione e Psicologia” all’Università degli Studi di Milano-Bicocca e specializzato in “Fashion Direction: Brand & Communication Management” presso il Milano Fashion Institute, Marco Martello è un collezionista di fragranze, nonché un esperto di comunicazione scritta con un’esperienza pluriennale nel mondo dell’editoria indipendente. Nel corso degli anni, oltre a collaborare con testate nazionali e straniere, ha svolto l’attività di copywriter e correttore di bozze sia nel settore del luxury che in quello del fashion, ampliando le sue competenze tecniche e consolidando la sua conoscenza delle dinamiche che sottendono i processi di comunicazione contemporanei. Oggi Marco ricopre il ruolo di Managing Editor & Beauty Director della rivista indipendente “The Greatest”, e si dedica all’insegnamento nell’ambito della comunicazione di moda e beauty in alcuni tra i più prestigiosi istituti italiani

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Marche italiane di profumi: l’eccellenza olfattiva del “Made in Italy”

L’Italia, culla dell’arte profumiera

L’Italia, con la sua inestimabile eredità culturale e la sua posizione geografica strategica, ha da secoli tessuto un legame indissolubile con l’arte profumiera. Un viaggio attraverso le sue fragranze è un’immersione nella storia, un percorso sensoriale che affonda le radici in civiltà antiche e fiorisce nel Rinascimento, fino a raggiungere le vette dell’innovazione contemporanea.

L’influenza di queste tradizioni si diffuse in Italia, dove Greci e Romani perfezionarono l’arte della profumeria. Nell’Impero Romano, i profumi erano parte integrante della vita quotidiana, utilizzati nelle terme per il relax e durante i banchetti per creare un’atmosfera di otium. Si preparavano unguenti, acque aromatiche, profumi e polveri odorose. Fu però nel Rinascimento che l’Italia divenne un vero e proprio epicentro dell’innovazione olfattiva, segnando l’esplosione della profumeria moderna. L’introduzione dell’alcol nella composizione dei profumi rivoluzionò il settore, rendendo le fragranze più leggere e persistenti.

Le corti italiane, in particolare quella fiorentina dei Medici, furono fucine di questa arte. Un aneddoto emblematico riguarda Caterina de’ Medici, la nobile fiorentina.

Le antiche spezierie e i monasteri erano veri e propri laboratori di sperimentazione, dove si tramandavano e si perfezionavano tecniche di distillazione e miscelazione. Un esempio lampante di questa maestria è l’italiano Gian Paolo Feminis, la cui formula dell’Acqua Admirabilis, un alcool profumato prossimo al 95%, è considerata la prima Acqua di Colonia.

Questo percorso storico rivela una costante capacità dell’eccellenza olfattiva italiana di assorbire influenze, innovare tecniche e mantenere viva la propria arte, anche quando i riflettori globali si spostavano altrove. Questa profonda radicazione e la dinamica evoluzione hanno permesso alla profumeria italiana di essere una tradizione vivente e in continua trasformazione.

Le grandi Maison storiche in Italia: custodi del patrimonio olfattivo italiano

Le grandi maison storiche italiane non sono solo nomi altisonanti. Queste case profumiere hanno saputo custodire e tramandare un’arte raffinata, legando indissolubilmente il proprio nome a luoghi e leggende che ne definiscono l’anima.

Otto secoli di storia, tra monaci e alchimia

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By Didier Olmstead – Own work, CC BY-SA 4.0

Una delle fragranze più iconiche della storia italiana della profumeria è certamente L’Acqua della Regina. Questo profumo, che nel 1533 incantò tutta Europa per un motivo che scopriremo tra poco, nacque in una profumeria che in principio, nel 1221, era una farmacia monastica. Fu, poi, aperta al pubblico nel 1542, sotto il patrocinio del Granduca di Toscana. I frati domenicani, veri specialisti in medicina, alchimia e aromi, furono i primi “nasi” di questa illustre istituzione. 

Tra le loro creazioni più celebri vi è, appunto, l’Acqua della Regina, un racconto agrumato ed elegante creato nel 1533 dal profumiere fiorentino Renato Bianco, che si narra fu iniziato a quest’arte dai frati di Santa Maria Novella. Questa fragranza fu il dono di nozze di Caterina de’ Medici al futuro re Enrico II di Valois, un profumo che incantò la corte di Francia e che ancora oggi è un simbolo della maestria e del legame profondo della maison con la storia.

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By Partecipazioni Commerciali Produzione s.r.l.

La storia della profumeria italiana è intrisa del fascino dei suoi luoghi. Ovviamente, non poteva mancare Capri, un’isola che ha ispirato leggende e profumi. Si racconta che nel 1380, il priore della Certosa di San Giacomo, per accogliere la Regina Giovanna d’Angiò, preparò un infuso con i fiori più belli dell’isola. Dopo tre giorni, l’acqua acquisì una fragranza misteriosa, riconosciuta da un religioso esperto di alchimia come il “Garofilium silvestre caprese”, dando vita al primo profumo di Capri.

Questa leggenda divenne realtà nel 1948, quando le antiche formule furono riscoperte. Un chimico piemontese, con il permesso del Papa, fondò quello che fu definito “il più piccolo laboratorio del mondo”. Le fragranze che nascono su quest’isola sono composti da elementi provenienti esclusivamente dalla natura caprese, trasformati in accordi olfattivi unici. 

La storia contemporanea della profumeria italiana si intreccia anche con l’evoluzione del Made in Italy e delle sue grandi maison di lusso. All’inizio del Novecento, la tradizione profumiera era ancora artigianale e locale, ma dopo il 1920 il settore iniziò a modernizzarsi.

Nel secondo dopoguerra, con il boom economico, i principali stilisti italiani colsero l’opportunità di tradurre la propria estetica in fragranze distintive. Nacque così il fenomeno del couturier-parfumeur: marchi di moda aprirono la strada – Gucci debuttò con No.1 nel 1974, seguito da Gianni Versace con Gianni Versace pour Homme nel 1984– inaugurando una scia di profumi firmati che definirono l’eleganza italiana.

Da quel momento, praticamente ogni casa di moda italiana propose la sua visione olfattiva, arricchendo gli scaffali delle profumerie con creazioni destinate a lasciare il segno. Tra le fragranze più iconiche che hanno fatto la storia spiccano vere e proprie leggende del profumo.

Acqua di Parma – Colonia, nata nel 1916, è un’acqua di colonia fresca e agrumata che sarebbe stata destinata a diventare un classico senza tempo, emblema di stile e della “dolce vita” all’italiana. Negli anni ’80 sono fioriti nuovi classici: Trussardi Uomo (1983) con le sue note raffinate di lavanda, patchouli e cuoio incarna la tradizione e il lusso italiano, mentre L’Homme (1984) di Versace esprime opulenza e fascino in chiave orientale-legnosa, una fragranza audace e seducente come l’estetica della casa milanese.

The current packaging

By Freud – Own work, CC BY-SA 3.0

Verso la fine del decennio, Roma (1988) di Laura Biagiotti conquistò il pubblico con un bouquet orientale-speziato ispirato alla Città Eterna, racchiudendo in gocce di profumo tutta la magia e l’eleganza di Roma. Gli anni ’90 hanno visto il trionfo internazionale di Giorgio Armani Acqua di Giò (1996), un profumo acquatico e agrumato ispirato al Mediterraneo, così rivoluzionario e fresco da diventare uno dei più venduti al mondo.

All’alba del nuovo millennio, Dolce&Gabbana Light Blue (2001) ha raccontato in chiave olfattiva un’estate italiana a Capri, con un’esplosione di agrumi seguiti da un cuore di fiori bianchi e un fondo sensuale di muschi e ambra. Queste creazioni – dalle colonie intramontabili alle Eau de Parfum seducenti – rappresentano tappe fondamentali del percorso della profumeria italiana di lusso: ciascuna ha segnato un’epoca, portando nel mondo il glamour e la creatività italiana in gocce di profumo.

La profumeria indipendente dal 1920 a oggi

Parallelamente ai grandi marchi, lontano dai riflettori della moda, l’Italia ha coltivato una vivace tradizione di profumeria indipendente e artistica. Fin dagli anni ’20 e ’30, antiche officine farmaceutiche e piccole botteghe artigiane – da Firenze a Capri – hanno custodito formule segrete e ingredienti locali, continuando a creare profumi in edizioni limitate per intenditori. In queste botteghe aleggiava un fascino d’altri tempi: flaconi di vetro soffiato con fragranze alla violetta e all’iris ispirate a ricette secolari, mentre colonie agrumate e talcate diventavano rituali quotidiani per una clientela affezionata. Negli ultimi decenni del Novecento, è rinata la profumeria artistica italiana: piccoli marchi indipendenti guidati da nasi visionari hanno sperimentato liberamente, combinando tradizione e avanguardia.

Queste fragranze di nicchia si sono fatte strada puntando su qualità artigianale ed emozione olfattiva pura. I loro nomi evocano mondi suggestivi e storie da scoprire. Ad esempio, Black Afgano (2009): un estratto oscuro e misterioso che celebra l’aroma proibito dell’hashish, un profumo intenso “cupo, dalla scia memorabile e dalla potenza estrema”. In contrasto, la poesia retrò di Teint de Neige (2000) ammalia con la sua delicatezza talcata: il solo nome (“tinta di neve”) richiama ciprie vintage e notti al chiarore di luna, e la fragranza ne restituisce l’essenza nostalgica e soffice, avvolgendo chi la indossa in un’aura intima e raffinata. Acqua di Sale (1996) invece cattura l’anima del Mediterraneo più autentico: è un viaggio sensoriale fra onde salmastre e macchia costiera, così realistico ed evocativo da essere considerato una delle fragranze marine italiane per eccellenza.

Queste creazioni indipendenti – insieme ad altre dal nome fiabesco o artistico – hanno conquistato gli appassionati in tutto il mondo grazie alla loro originalità e all’eccellenza dei materiali. Senza bisogno di ostentare il nome di un grande marchio, i profumi di nicchia italiani parlano il linguaggio della memoria e dell’immaginazione: ogni essenza è un racconto olfattivo, che spazia dalla misteriosa resina orientale alle brezze costiere, dai bouquet floreali classici alle ardite note gourmand. Questa duplice anima della profumeria italiana, commerciale, da un lato, e artistico-indipendente dall’altro, rappresenta i due volti di una stessa medaglia. In entrambi i casi, al centro troviamo creatività, audacia e passione: l’Italia continua a lasciare un’impronta indelebile nel panorama olfattivo mondiale, rendendo ogni profumo un’esperienza evocativa e intramontabile.

La profumeria di nicchia italiana sta ridefinendo il “Made in Italy” non solo attraverso la qualità e la produzione locale, ma con un’autenticità che scaturisce da una visione artistica personale, da un’attenzione meticolosa alle materie prime spesso legate al territorio e da una narrazione profonda.

Questo approccio trasforma il profumo da semplice fragranza a una vera e propria “esperienza olfattiva” e “opera d’arte”, rispondendo al desiderio crescente dei consumatori di prodotti che raccontano storie e che permettono un’espressione più intima e meno massificata della propria personalità.

Il potere dello storytelling olfattivo: fragranze che narrano storie

La profumeria italiana si distingue per la sua innata capacità di comunicare attraverso le fragranze, trasformandole in vere e proprie opere d’arte olfattive che raccontano storie ed emozioni. Lo scent marketing, in questo contesto, sfrutta il potere evocativo dei profumi per creare un legame emotivo profondo tra il brand e il consumatore.

La ricerca olfattiva si spinge oltre la semplice gradevolezza, cercando di “intrappolare un odore buono o meno buono che sia”, trasformando odori canonicamente considerati “tabù o sgradevoli” in fragranze affascinanti. Questa audacia è un’espressione dell’imprinting artistico dei marchi più piccoli, che osano sfidare le convenzioni.

Questa tendenza posiziona la profumeria italiana come un campo di ricerca multidisciplinare che va oltre il semplice “profumarsi”. Il profumo diventa un’esperienza sensoriale complessa, un’espressione artistica e persino uno strumento per il benessere psicofisico.

Questo salto qualitativo la colloca all’avanguardia globale.

Il Tuo Percorso nella Profumeria Artistica: come avvicinarsi a questo mondo affascinante

Avvicinarsi al mondo della profumeria artistica italiana è un viaggio lungo e profondamente personale.

Per trasformare questa passione in una vera e propria competenza, ti invitiamo a esplorare i corsi dedicati all’arte e alla scienza del profumo.

Che tu sia un semplice appassionato o un futuro professionista, i nostri programmi ti guideranno in un’esperienza formativa unica, arricchendo la tua conoscenza e affinando il tuo senso più evocativo.

Scopri di più sui nostri corsi e inizia oggi il tuo viaggio nel cuore dell’eccellenza olfattiva italiana!

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Odori dell’estate: bucato steso al sole, mare e piscina tra scienza e falsi miti

Un articolo di Eva Munter

Perché l’estate ha un odore unico? Scopri i segreti scientifici di bucato steso, mare e piscina: molecole, reazioni chimiche e curiosità.
Buona lettura!


Perché l’estate ha un odore così particolare?

Se ci fermiamo un momento a pensare, ciascuno di noi associa a questa stagione una fragranza ben precisa, quasi personale. Può essere quella inconfondibile della crema solare, che ci riporta istantaneamente sotto un ombrellone in riva al mare. Oppure l’aroma agrumato di un profumo che usiamo solo nei mesi caldi, o ancora l’odore della pelle dopo una giornata all’aperto. Le vacanze, i ricordi dell’infanzia, le giornate più lunghe e leggere: tutto questo passa anche attraverso il naso. Ma accanto a queste memorie soggettive, esistono odori che sembrano universali, che tutti riconosciamo e colleghiamo all’estate, anche se spesso non sappiamo spiegarne l’origine. È il caso dell’“odore di sole”, o dell’“odore di mare” e dell’inconfondibile odore di cloro in piscina, che incontriamo nella quotidianità estiva e che nel tempo sono stati ammantati anche da qualche falso mito. In questo articolo ho deciso di indagare questi profumi familiari e di capire, attraverso la scienza, da dove arrivano davvero.

Odore di sole: perché la pelle e il bucato profumano dopo essere stati al sole?

Capita spesso di sentire un odore particolare sulla pelle delle persone che sono state all’aperto. Nulla a che vedere con il sudore, ma parliamo di un odore dolce e piacevole, che sembra sprigionarsi dai vestiti o dalla pelle, tanto che ho sentito ancora utilizzare l’espressione “odore di sole”. Il sole in sé non ha ovviamente un odore o, se ce l’ha, noi non possiamo sentirlo. Quindi in questo caso parliamo di “l’odore” dell’aria aperta. Ed è qui che la questione si fa più interessante, perché abbiamo scoperto che l’aria ha davvero odori diversi a seconda che sia una giornata calda e soleggiata quanto piuttosto una fredda. Non è però una questione di sole in sé, ma di come si muovono le molecole odorose. Nell’aria calda si diffondono liberamente, mentre in quella fredda si muovono più lentamente. E se ci pensiamo, questo lo viviamo tutti i giorni quando ci facciamo il caffè: quando è caldo, il suo profumo è invitante; ma se lo lasciamo raffreddare sulla scrivania per ore, a fine giornata non avrà più lo stesso effetto. Ecco perché ogni stagione ha un odore diverso, e l’estate in particolare ci regala note fresche, agrumate, “solari”. Ma non è tutto. 

L’esperimento: come si forma l’odore di bucato steso al sole

“L’odore di sole” lo possiamo sentire però anche sul bucato steso: un odore buono, fresco, che tutti riconoscono e reputano piacevole, su cui abbiamo scritto poesie e che viene imitato in candele profumate e deodoranti per ambienti. In questo caso, abbiamo anche diversi studi scientifici e una spiegazione plausibile. In uno studio pubblicato sulla rivista Environmental Chemistry, alcuni ricercatori hanno esaminato degli asciugamani stesi all’aperto, nel tentativo di individuare la fonte precisa del loro profumo caratteristico. Ogni asciugamano è stato lavato tre volte con acqua ultra pura, poi steso in tre luoghi diversi: all’interno di un ufficio, sul balcone all’ombra di una copertura di plastica e sul balcone esposto alla luce diretta del sole. Una volta asciutti, gli asciugamani sono stati sigillati in un sacchetto speciale e poi sono state analizzate le molecole odorose. Gli scienziati hanno effettuato analisi simili anche su un sacchetto vuoto, su un asciugamano non lavato e sull’aria presente nelle diverse aree di asciugatura. Confrontando i profili chimici degli asciugamani sperimentali con quelli dei campioni di controllo e tra loro, i ricercatori sono riusciti a individuare quali composti comparivano solo quando gli asciugamani bagnati venivano stesi al sole. L’asciugatura all’aria aperta, in particolare sotto il sole, ha generato in maniera esclusiva una serie di composti chimici appartenenti alle famiglie delle aldeidi e dei chetoni. Si tratta di molecole organiche volatili che, pur essendo presenti in quantità molto ridotte, sono facilmente percepite dal nostro olfatto grazie alla loro diffusione in natura, soprattutto nelle piante aromatiche e negli oli essenziali utilizzati in profumeria. Il nostro naso, infatti, è estremamente sensibile a queste sostanze, che evocano odori familiari e spesso gradevoli. In particolare, gli asciugamani stesi al sole hanno iniziato a rilasciare molecole come il pentanale — tipico del profumo speziato del cardamomo —, l’ottanale — che richiama fragranze agrumate e fresche — e il nonanale, che ha un odore dolce e floreale simile a quello delle rose.

Ma da dove provengono queste sostanze? Una delle ipotesi più accreditate è che entrino in gioco reazioni chimiche attivate dall’ozono, un gas presente nell’atmosfera noto per la sua capacità ossidante. Questo composto, entrando in contatto con alcune sostanze normalmente presenti nell’ambiente o sul tessuto stesso, può modificarle trasformandole in nuove molecole, tra cui appunto aldeidi e chetoni, capaci di conferire al bucato il caratteristico odore di “fresco” e “pulito”.

Tuttavia, secondo i ricercatori un ruolo ancora più importante è svolto direttamente dalla luce solare. In particolare, la componente ultravioletta della luce solare sarebbe in grado di “eccitare” alcune molecole, rendendole instabili e trasformandole in radicali liberi, composti chimici molto reattivi che tendono a combinarsi con le molecole circostanti. Queste reazioni innescano una cascata di trasformazioni che portano alla formazione di nuove sostanze volatili, comprese appunto molte delle aldeidi e dei chetoni osservati.

Un aspetto interessante, sottolineato dalla ricercatrice Silvia Pugliese, che ha firmato questo studio, è il possibile ruolo dell’acqua residua presente nei tessuti bagnati. L’acqua potrebbe agire come un “concentratore” naturale, raccogliendo molecole reattive e amplificando l’effetto della luce solare, un po’ come una lente d’ingrandimento che focalizza i raggi del sole. Questo meccanismo contribuirebbe a velocizzare e intensificare le reazioni fotochimiche sulla superficie del tessuto, rendendo possibile la formazione del complesso bouquet aromatico che associamo all’odore del bucato steso al sole. Lo stesso meccanismo avviene anche su altre superfici, ma probabilmente sui vestiti dura più a lungo perché le fibre “intrappolano” le molecole. 

Odore di mare: davvero sentiamo lo iodio?

È un odore che evoca immediatamente l’estate. Alcuni parlano di “odore di salsedine”, altri di “odore di iodio”. Chiudiamo gli occhi e sentiamo note salmastre, alghe, legni bagnati, vento. Ma che cosa stiamo davvero annusando?

In realtà, non stiamo respirando davvero iodio. Lo iodio elementare è un gas poco presente in forma libera nell’atmosfera e non ha, di per sé, un odore riconoscibile a basse concentrazioni. Quando sentiamo dire che “l’aria di mare contiene iodio” o che “respirare lo iodio fa bene”, siamo di fronte a un luogo comune. È vero che alcune reazioni tra alghe marine e l’ambiente rilasciano microtracce di composti contenenti iodio nell’atmosfera, ma le quantità sono talmente minime da non avere alcun effetto benefico diretto per l’organismo, né tantomeno possono essere “respirate” nel senso fisiologico del termine.

Lo iodio è un elemento fondamentale per la salute — in particolare per il corretto funzionamento della tiroide — ma va assunto attraverso l’alimentazione, non per via inalatoria. Il sale iodato, i crostacei e alcune alghe ne sono buone fonti. Respirare l’aria di mare può essere piacevole e rilassante, ma non ha proprietà curative legate allo iodio.

Quello che annusiamo in riva al mare è un mix complesso di composti volatili prodotti da microrganismi marini, alghe e residui organici in decomposizione. Tra questi troviamo il  dimetilsolfuro (DMS), una sostanza che ha un ruolo chiave nell’aroma “tipico” del mare. È noto per il suo odore intenso, che può risultare sgradevole se isolato, simile a quello di alcuni alimenti fermentati o cotti. Circa il 40% del DMS presente a livello globale viene prodotto da alghe marine, che lo rilasciano durante il loro ciclo vitale. 

Intervengono poi i bromofenoli: composti aromatici contenenti almeno un anello benzenico con gruppi ossidrilici (-OH) e bromo (-Br). A questi si deve il profumo vagamente “iodato” che percepiamo vicino al mare e che ritroviamo anche in pesci e molluschi pescati in natura. Nei pesci d’allevamento, invece, questa nota olfattiva è molto più debole, proprio perché i bromofenoli non vengono prodotti dagli animali stessi, ma da alcuni organismi con cui gli animali selvatici entrano in contatto. 

In ultimo, intervengono dictioptereni, feromoni sessuali emessi da diverse specie di alghe brune. Presenti naturalmente nell’acqua di mare, sono responsabili dell’aroma tipico delle alghe essiccate, che spesso associamo alla costa e alla spiaggia. Anche se meno noti, contribuiscono a quella nota vegetale e leggermente marina che percepiamo avvicinandoci all’oceano o annusando alghe esposte al sole.

Perché la piscina ha un odore così forte di cloro?

L’odore della piscina è inconfondibile: pungente, intenso, e per molti legato all’infanzia, all’estate, ai pomeriggi passati a mollo tra schizzi e risate. Spesso si crede che quel tipico odore provenga dal cloro usato per disinfettare, ma non è propriamente così. Quello che sentiamo è il risultato della reazione tra il cloro e sostanze organiche presenti nell’acqua, come sudore, pelle morta, urina o cosmetici. Queste reazioni chimiche generano composti chiamati clorammine, responsabili del classico “odore di piscina” e, in alcuni casi, anche del bruciore agli occhi. Le clorammine, dunque, non indicano un’acqua pulita, ma al contrario un’acqua in cui il cloro sta lavorando per neutralizzare contaminanti organici. Quando il cloro entra in contatto con sostanze contenenti azoto, come l’ammoniaca (presente ad esempio nel sudore o nell’urina), si innescano reazioni chimiche che portano alla formazione di diversi sottoprodotti chiamati clorammine. A seconda del numero di atomi di cloro che sostituiscono quelli di idrogeno nella molecola originaria di ammoniaca, si formano monocloramina, dicloramina e tricloramina. La monocloramina, in alcuni casi, viene perfino utilizzata volontariamente come agente disinfettante. Le altre due, invece, sono quelle che producono il tipico — e spesso sgradevole — odore che associamo all’acqua di piscina.

Paradossalmente, più l’odore è forte, meno “cloro libero” c’è effettivamente nell’acqua, ovvero meno disinfettante attivo è disponibile per mantenere l’acqua igienica. Questo perché il cloro ha già reagito con contaminanti organici, formando clorammine. Quindi, un odore pungente non è segno di pulizia, ma il contrario: indica che la piscina è satura di residui organici e che sarebbe necessario aggiungere nuovo cloro per ristabilire l’equilibrio igienico.

Scusate se vi ho rovinato il prossimo bagno e buona estate!


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Eva Munter

Eva Munter è una chimica e divulgatrice scientifica appassionata di profumeria, autrice del progetto “Chimica in Pillole”, con cui racconta al grande pubblico le molecole che abitano il nostro quotidiano, dai profumi agli alimenti, dai materiali ai cosmetici.

Con uno stile diretto, ironico e accessibile, Eva rende la scienza olfattiva comprensibile e affascinante anche per i non addetti ai lavori.

Collabora come docente con Ateneo dell’Olfatto, dove tiene corsi e lezioni dedicati alla chimica del profumo, alla composizione molecolare delle fragranze e alla storia scientifica delle materie prime.

Il suo approccio unisce rigore scientifico, esperienza di laboratorio e una grande capacità narrativa, portando chi legge o ascolta a scoprire quanto possa essere sorprendente il mondo che si cela dietro ogni goccia di profumo.

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Comedìa: quando la profumeria incontra la letteratura. Intervista a Claudio Calafiore ed Edoardo Tacconi

Un articolo di Marco Martello

Comedìa è un marchio italiano di profumeria artistica che crea profumi ispirati alla letteratura. In questa intervista, i fondatori Claudio Calafiore ed Edoardo Tacconi raccontano il progetto, le fragranze e le sfide del mondo della profumeria di nicchia.

Buona lettura!


Innanzitutto, qual è il vostro primo ricordo olfattivo?

Claudio: Il mio primo ricordo olfattivo è l’odore delle piastrelle di terracotta della terrazza dei miei nonni, tra il basilico e i pomodori lasciati essiccare, mentre giocavo a piedi nudi nelle calde estati mediterranee.

Edoardo: Sono nato e cresciuto con i miei nonni nella campagna toscana. Il primo odore che mi viene in mente è quello delle foglie di fico e della terra arsa dal sole dei pomeriggi estivi; l’odore acre dei grappoli d’uva a settembre; e l’odore di castagne bollite col finocchietto e bucce di mandarini scaldati sulla stufa in inverno.

Claudio ed Edoardo, vi siete conosciuti durante un corso di formazione organizzato da Ateneo dell’Olfatto. Qual è la lezione più importante che avete imparato tra i banchi di scuola?

Claudio: Quelli dell’Ateneo non sono soltanto corsi didattici. Abbiamo infatti appreso l’approccio personale, umano e soggettivo che ognuno di noi può, e forse deve, riporre nella creazione di un accordo o una fragranza. Abbiamo imparato a togliere il giudizio, dando libero sfogo all’analisi più spensierata che ci possa essere.

Edoardo: Mi accodo al mio socio. L’arte della profumeria ti impone di essere vero, se vuoi far risuonare l’anima delle persone.

Ciò detto, lo scorso gennaio avete fondato “Comedìa”, il vostro marchio di profumeria di nicchia, giocando con il parallelismo tra composizione letteraria e olfattiva. Quali erano le vostre paure e le vostre speranze nell’intraprendere quest’avventura imprenditoriale?

Claudio: Tralasciando la prudenza, fisiologica nel creare un brand da zero, il nostro desiderio più grande consisteva nel portare qualcosa di nuovo nel mondo della profumeria artistica e nel creare quello che avremmo voluto trovare noi sugli scaffali dei negozi. Ciò detto, entrare in un mondo sconosciuto richiede sempre tanta attenzione e cura. Per attitudine di entrambi, noi lo stiamo facendo in punta di piedi, quasi chiedendo il permesso.

Edoardo: Sarò sincero, la paura più grande aveva a che vedere con il riuscire a fare tutto con un budget oggettivamente basso rispetto a quello con il quale altri brand hanno mosso i primi passi. Senza poi considerare il fatto che, come è stato per me con la musica in passato, l’aspetto puramente aziendale spesso affievolisce il fuoco dell’ispirazione artistica. Nella mia vita non ho mai vissuto di speranze, ma di idee che dovevano essere realizzate in un modo o nell’altro.

Ricordate la prima volta che avete incontrato una persona a voi sconosciuta con indosso una delle vostre fragranze?

Claudio: Non è ancora successo, essendo il nostro marchio sul mercato da sole tre settimane, ma siamo certi che quando accadrà sarà un’emozione speciale.

Con “Di Mezza Estate”, la vostra interpretazione olfattiva di “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare, avete vinto l’edizione 2024 del premio Aromata. Qual è stata la vostra prima reazione quando avete ricevuto questo riconoscimento? E a chi avete dedicato la vittoria?

Claudio: Siamo andati a Roma per conoscere nuove persone, annusare le proposte di altri giovani creativi e scambiare qualche parola con degli appassionati come noi. Quando hanno nominato “Comedìa Di Mezza Estate” alla premiazione, ci siamo guardati, più sbigottiti che sorpresi! La vittoria la dedichiamo a tutti coloro che hanno il coraggio di vivere le loro passioni e trasformarle in pagine memorabili della loro biografia.

Edoardo: Allego una foto che parla da sé

Foto di Laura Amato

Facendo un passo indietro, avete avuto un mentore, che vi ha aiutato a compiere i primi passi in un mercato saturo e altamente competitivo?

Claudio: Lara e Letizia Farotti sono state, e sono tuttora, un faro molto importante per noi. I loro consigli, forti di un’esperienza ultradecennale, ci hanno infatti dato tanta sicurezza e serenità. Andando più in là, certamente Dante ha ricoperto un ruolo fondamentale (è proprio dalla sua opera più celebre che viene il nome del nostro marchio di profumi). Anche se in esilio, e in una condizione psicologica e personale molto delicata, ha composto l’opera letteraria laica più importante in assoluto. Basti pensare a quanto la scelta di adottare il volgare toscano per rendere questo testo accessibile a tutti sia stata rivoluzionaria visto il periodo storico nel quale è stata scritto, ovvero il 1300.

Edoardo: Concordo di nuovo con Claudio. Aggiungo che in qualsiasi ambito artistico e professionale si è raggiunto un livello di saturazione, ed è un bene perché questo sensibilizza sempre di più l’appassionato, il cliente e utente, indirizzandolo verso scelte più consapevoli oltre che a sposare una causa in maniera totalizzante. Parafrasando Robert Henri, non facciamo arte per dire di farla, è che ci troviamo in quel meraviglioso stato spirituale che rende per noi l’arte inevitabile!

“Delle Mie Brame”, “Delle Dune Di Sabbia” e, per l’appunto, “Di Mezza Estate” sono le prime fragranze a portare la vostra firma. Quale tra questi profumi è stato il più complesso da sviluppare sul piano tecnico?

Claudio: Dal punto di vista dello storytelling, “Comedìa Delle Mie Brame” è stata la sfida più grande. Scegliere un personaggio così noto, che è stato per altro oggetto di tante reinterpretazioni, nascondeva delle insidie non indifferenti. Noi ci siamo concentrati sulla sua natura umana, fragile e vera, ed è stata un’esperienza bellissima.

Edoardo: “Comedìa Delle Dune Di Sabbia” è stata la creazione più spontanea, “Delle Mie Brame” quella più calibrata, e “Di Mezza Estate” quella che ha richiesto più prove ed elaborazione tecnica. Con “Delle Dune Di Sabbia”, sapevo cosa volevo: l’avevo sognata e, pur avendo ancora poca dimestichezza con alcune materie prime, è uscita di getto. Delle nove prove ufficiali, alla fine abbiamo scelto la 1A, ovvero la prima in assoluto. “Delle Mie Brame” ha richiesto molto lavoro per trovare il giusto equilibrio fra tutti i piccoli accordi creati, eliminando ciò che era superfluo e cercando di rimanere in linea con il brief che Claudio aveva messo a punto. “Di Mezza Estate” invece, essendo il profumo con più ingredienti di origine naturale e, per altro, con materie molto difficili da lavorare, ha richiesto un approccio essenziale in fase di formulazione, così da poter dare respiro alle assolute contenute al suo interno. Il mio maestro di batteria e percussioni al conservatorio mi diceva sempre che per fare emergere un buon ritmo e un buon fill, servono precisione, dinamica ed essenzialità, perché “la perfezione si ottiene non quando non c’è nient’altro da aggiungere, bensì quando non c’è più niente da togliere”

L’anno scorso, la scrittrice coreana Han Kang è stata insignita del Premio Nobel per la Letteratura. Se doveste creare una fragranza traendo ispirazione da uno dei suoi romanzi, quale opera scegliereste e quali materie prime usereste per rappresentarla olfattivamente?

Claudio: Nella sua psicosi, la protagonista de “La vegetariana” vuole trasformarsi in un albero. Proporrei a Edoardo di creare un profumo che faccia percepire il mondo con i suoi occhi, non attraverso le sue azioni estreme. Vorrei creare un profumo che sappia di nuvole, di pelle umana e muschio.

Edoardo: Recupero subito! Ho nel carrello “Non dico addio”, ma seguo le indicazioni del direttore artistico!

Ripensando agli ostacoli che avete dovuto superare, qual è il consiglio che avreste voluto ricevere prima di fondare il vostro marchio?

Claudio: “Fallo prima!”. Ecco cosa avrei voluto sentirmi dire.

Edoardo: Sì, ma non eravamo pronti prima (Ride, ndr)! 

Per concludere, cosa ci dovremmo aspettare da Comedìa nel prossimo futuro?

Claudio: Vorremmo poterci incontrare tra qualche anno e dire che nelle profumerie c’è sempre più gente curiosa, aperta a sperimentare e confrontarsi. Noi abbiamo infatti scelto di non vendere online per incentivare le persone a varcare la magica soglia delle profumerie. Sulle loro librerie, vorremmo che svettasse una collezione di profumi blu lapislazzuli che narrano sempre più capolavori della letteratura mondiale.

Edoardo: “Let us cook!”. 


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Marco Martello

Laureato in “Comunicazione e Psicologia” all’Università degli Studi di Milano-Bicocca e specializzato in “Fashion Direction: Brand & Communication Management” presso il Milano Fashion Institute, Marco Martello è un collezionista di fragranze, nonché un esperto di comunicazione scritta con un’esperienza pluriennale nel mondo dell’editoria indipendente.

Nel corso degli anni, oltre a collaborare con testate nazionali e straniere, ha svolto l’attività di copywriter e correttore di bozze sia nel settore del luxury che in quello del fashion, ampliando le sue competenze tecniche e consolidando la sua conoscenza delle dinamiche che sottendono i processi di comunicazione contemporanei. Oggi Marco ricopre il ruolo di Managing Editor & Beauty Director della rivista indipendente “The Greatest”, e si dedica all’insegnamento nell’ambito della comunicazione di moda e beauty in alcuni tra i più prestigiosi istituti italiani.

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Il lato oscuro del gelsomino: alla scoperta dell’indolo, la molecola che trasforma il profumo in seduzione

Un articolo di Eva Munter

Quando sentiamo il profumo del gelsomino, pensiamo alla bellezza, all’eleganza e alla sensualità. Eppure, nel cuore di questa fragranza ipnotica si nasconde una molecola dall’odore sgradevole e animale: l’indolo. In questo nuovo articolo, Eva Munter ci accompagna in un viaggio affascinante tra chimica, percezione e seduzione, alla scoperta del lato oscuro (e irresistibile) del gelsomino.

Buona lettura!


Quando la notte cade e la luce si ritira, iniziamo a sentire il profumo ipnotico e sensuale del gelsomino. Un profumo che tutti riconoscono come dolce, opulento, elegante… ma se lo scomponessimo chimicamente, ci racconterebbe tutta un’altra storia, ben più oscura e forse repulsiva.

Permettetemi di presentarvi un piccolo composto chiamato indolo.

Cos’è l’indolo e perché “puzza”

L’indolo è, dal punto di vista chimico, un composto aromatico eterociclico che contiene un anello di benzene a sei membri fuso con un anello di pirrolo a cinque membri.
Se tutto questo vi dice poco, ecco cosa dovete sapere: puzza terribilmente.
Presente anche nei tessuti in decomposizione o nelle feci, nella sua forma pura e isolata, l’indolo ha un odore umido, pungente e netto, come una combinazione curiosa di cane bagnato, alitosi persistente e naftalina.

Ricordi dal laboratorio: l’indolo sulla pelle

Ricordo pomeriggi che sembravano infiniti in laboratorio, immersa nei miei esperimenti, cercando di far reagire l’indolo con altri composti, dato che avevo avuto la sfortuna di dover sviluppare una reazione che lo coinvolgeva per la mia tesi di laurea.
L’odore dell’indolo puro, penetrante e persistente, sembrava attaccarsi alla mia pelle.
Non importava quanto provassi a liberarmene: nemmeno la doccia più lunga riusciva a cancellarlo. Mi restava addosso, un’ombra invisibile e fetida che mi accompagnava per il resto della giornata — e che probabilmente faceva pensare agli altri che la mia igiene orale lasciasse a desiderare, dato che sembrava l’odore dell’alito di un anziano tabagista. Ogni volta che respiravo, la sua presenza era lì, indissolubile.
Ho dovuto gettare due camici per riuscire a liberarmi del tutto di questo compagno stantio e fastidioso. Sono stati sei mesi faticosi.

Dal disgusto alla seduzione: la magia della diluizione

Eppure, nei petali del gelsomino, l’indolo diventa seduzione allo stato puro.

Com’è possibile? La chiave per la seduzione olfattiva dell’indolo sta nella diluizione.

In piccole quantità (circa l’1%), l’odore dell’indolo puro si affievolisce, perdendo quel sentore di cantina umida e diventando quasi floreale.

Indolo nei fiori bianchi: gelsomino, tuberosa, neroli

Non si trova solo nel gelsomino, ma abbiamo tracce di questa molecola aromatica anche nei fiori bianchi come tuberosa, neroli e gardenia. Tuttavia, anche altri fiori contengono tracce di questo composto, come la rosa o il lillà.
Il gelsomino, però, potrebbe essere il più “sporco” tra tutti. L’essenza naturale di gelsomino, in particolare la varietà Jasminum grandiflorum, è famosa per avere una nota indolica molto evidente: la maggior parte degli oli di gelsomino contiene circa il 2,5% di indolo puro.

Quando si affronta un olio essenziale di gelsomino puro e si annusa per bene, spesso si resta quasi spiazzati dalla nota umida e stantia, molto simile alla pelle sudata mescolata alla dolcezza narcotica dei fiori freschi di gelsomino.
Attratti e respinti allo stesso tempo, in modo un po’ inquietante.

Nei profumi, gli oli naturali che contengono indolo sono spesso usati per dare un tocco intrigante e seducente alla fragranza, offrendo una nota animalica indescrivibile che rapisce i nostri sensi più primordiali.
L’indolo assume quindi un nuovo ruolo, passando da molecola repulsiva a qualcosa che in qualche modo ci attrae e ci incatena.
Qualcuno ha associato anche l’indolo all’odore del sesso… forse questa molecola rappresenta davvero il connubio tra amore e morte, tanto decantato dai poeti romantici.

Indolo e impollinazione: il profumo della putrefazione

Questo è l’effetto che ha su di noi, ma dobbiamo ragionare sul perché il fiore si è dotato di questa molecola “sporca” che richiama la decomposizione e la putrefazione: per attirare gli impollinatori.
E non parliamo solo di api: ci sono fiori che si affidano a mosche o zanzare.
Le zanzare adulte sono abilissime a rilevare l’indolo, dato che ci individuano proprio cercando le molecole che caratterizzano l’odore delle feci umane, grazie a recettori specifici chiamati indolergici.

Una molecola sorprendente: l’indolo nella profumeria

L’indolo viene utilizzato anche in profumeria come componente aromatica chiave nella costruzione di accordi floreali complessi, soprattutto nei fiori bianchi.
Questa molecola, pur avendo un odore sgradevole allo stato puro, è fondamentale per aggiungere profondità, tridimensionalità e una sfumatura animalica alle fragranze, rendendole più intriganti e memorabili.

È curioso pensare che una sostanza dal sentore simile alle feci possa contribuire a rafforzare l’identità olfattiva di un profumo, trasformando la sua anima da semplicemente floreale a seduttiva e carnale.

Conclusione: il paradosso dell’indolo

L’indolo potrebbe essere visto come la perfetta incarnazione olfattiva del paradosso di Eros e Thanatos: amore e morte, attrazione e repulsione, vita che sboccia e corruzione che avanza.

È incredibile pensare che una molecola presente anche nei materiali in decomposizione possa diventare cuore pulsante di profumi così seducenti, trasformando un accenno di morte in un’eco carnale di desiderio. Questa molecola ci ricorda che la bellezza olfattiva non nasce solo dalla purezza, ma anche dall’equilibrio tra luce e ombra, attrazione e repulsione.

Lo racconterete alla persona amata, quando le regalerete un profumo contenente fiori bianchi?


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Eva Munter

Eva Munter è una chimica e divulgatrice scientifica appassionata di profumeria, autrice del progetto “Chimica in Pillole”, con cui racconta al grande pubblico le molecole che abitano il nostro quotidiano, dai profumi agli alimenti, dai materiali ai cosmetici.

Con uno stile diretto, ironico e accessibile, Eva rende la scienza olfattiva comprensibile e affascinante anche per i non addetti ai lavori.

Collabora come docente con Ateneo dell’Olfatto, dove tiene corsi e lezioni dedicati alla chimica del profumo, alla composizione molecolare delle fragranze e alla storia scientifica delle materie prime.

Il suo approccio unisce rigore scientifico, esperienza di laboratorio e una grande capacità narrativa, portando chi legge o ascolta a scoprire quanto possa essere sorprendente il mondo che si cela dietro ogni goccia di profumo.

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Professione naso: Chi si nasconde dietro ai profumi che indossiamo?

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Un articolo di Marco Martello

Parlare della figura del naso richiede uno sguardo attento, capace di cogliere l’essenza invisibile delle cose.
Per questo abbiamo chiesto a Marco Martello, Managing Editor & Beauty Director della rivista “The Greatest”, di raccontarcela.

Il risultato è un articolo raffinato, ricco di spunti e sfumature, che ci accompagna dietro le quinte di una professione tanto affascinante quanto poco conosciuta.

Buona lettura!


Chi è il profumiere? Di cosa si occupa? E cosa ha fatto sì che questa figura professionale ottenesse la popolarità di cui gode oggi? Vediamo più da vicino in cosa consiste questa professione e scopriamo qualche curiosità sui protagonisti dell’industria del profumo, ovvero i Maître Parfumeur.

Spesso idealizzata, la figura del naso è molto più complessa di quanto si possa credere. Dietro all’immagine stereotipata del creativo naïf, si nasconde infatti un tecnico, il cui lavoro consiste nel trovare il giusto mix di logica e intuizione, preservando l’armonia in quella che può essere descritta come l’eterna battaglia tra forze contrapposte. Proprio come un musicista, il profumiere si dedica infatti a combinare, scombinare e ricombinare tra loro le note più disparate, per dare vita a una composizione in grado di risuonare all’unisono con la nostra anima e, nel fare ciò, ricorre tanto alla sua maestria nel maneggiare le migliaia di materie prime a sua disposizione quanto al suo bagaglio culturale ed emotivo. Da ciò ne consegue che un tecnico senza doti creative avrà non poche difficoltà nel tentare di coinvolgere il consumatore sul piano emotivo, mentre un creativo senza competenze tecnico-scientifiche faticherà nel tradurre in termini olfattivi il frutto del suo lavoro di ricerca e immaginazione.

Le curiosità, così come i falsi miti, sui Maître Parfumeur non mancano, ma l’aspetto più interessante riguarda forse il rapporto che i nasi intrattengono con le fragranze. Nonostante i Maître Parfumeur dedichino la propria vita al profumo, per non alterare la percezione delle materie prime che impiegano nel processo di creazione dei loro jus si vedono costretti a non portare alcun profumo. L’unica eccezione a questa regola è rappresentata dalla composizione a cui stanno lavorando, che indossano per valutare l’evoluzione su pelle. Non si tratta però di un profumo che scelgono come propria firma olfattiva e portano ad infinitum, ma di una fragranza che li accompagna per alcuni mesi, fino a quando non arriva il momento di separarsene in maniera definitiva e farne dono al mondo.

Se quella del naso è una professione con una lunga tradizione alle spalle, l’interesse nei confronti di questa figura professionale è ben più recente. La fama di cui godono i Maître Parfumeur al giorno d’oggi è, se non altro in parte, dovuta a Frédéric Malle, nipote del creatore della Parfums Christian Dior e fondatore del marchio di profumeria artistica Éditions de Parfums Frédéric Malle. Nel porre le basi del suo progetto, questo editore di profumi si è, infatti, dato un obiettivo tanto importante quanto ambizioso: porre i Maître Parfumeur al centro della conversazione sul profumo, riconoscendo i loro meriti e scrivendo il loro nome sui flaconi delle fragranze del marchio. Alla luce di questa popolarità, alcuni dei più grandi profumieri internazionali si sono trasformati in imprenditori e hanno, per l’appunto, creato una propria collezione di fragranze, anche se non sempre con esiti favorevoli. A tal proposito, è doveroso precisare che, se non altro quando lavorano su commissione, i nasi si attengono sempre a un brief, muovendosi all’interno di un perimetro delimitato. Nel trovarsi difronte a infinite possibilità creative, devono quindi fare i conti con la paura di cui spesso profuma la libertà, proprio come un artista, un giornalista o uno scrittore. Chissà se l’Intelligenza Artificiale, già impiegata da alcuni dei grandi leader del settore, si rivelerà essere un valido alleato per superare la cosiddetta sindrome della pagina bianca.


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Marco Martello

Laureato in “Comunicazione e Psicologia” all’Università degli Studi di Milano-Bicocca e specializzato in “Fashion Direction: Brand & Communication Management” presso il Milano Fashion Institute, Marco Martello è un collezionista di fragranze, nonché un esperto di comunicazione scritta con un’esperienza pluriennale nel mondo dell’editoria indipendente. Nel corso degli anni, oltre a collaborare con testate nazionali e straniere, ha svolto l’attività di copywriter e correttore di bozze sia nel settore del luxury che in quello del fashion, ampliando le sue competenze tecniche e consolidando la sua conoscenza delle dinamiche che sottendono i processi di comunicazione contemporanei. Oggi Marco ricopre il ruolo di Managing Editor & Beauty Director della rivista indipendente “The Greatest”, e si dedica all’insegnamento nell’ambito della comunicazione di moda e beauty in alcuni tra i più prestigiosi istituti italiani