
Un articolo di Eva Munter –
Perché l’estate ha un odore unico? Scopri i segreti scientifici di bucato steso, mare e piscina: molecole, reazioni chimiche e curiosità.
Buona lettura!
Perché l’estate ha un odore così particolare?
Se ci fermiamo un momento a pensare, ciascuno di noi associa a questa stagione una fragranza ben precisa, quasi personale. Può essere quella inconfondibile della crema solare, che ci riporta istantaneamente sotto un ombrellone in riva al mare. Oppure l’aroma agrumato di un profumo che usiamo solo nei mesi caldi, o ancora l’odore della pelle dopo una giornata all’aperto. Le vacanze, i ricordi dell’infanzia, le giornate più lunghe e leggere: tutto questo passa anche attraverso il naso. Ma accanto a queste memorie soggettive, esistono odori che sembrano universali, che tutti riconosciamo e colleghiamo all’estate, anche se spesso non sappiamo spiegarne l’origine. È il caso dell’“odore di sole”, o dell’“odore di mare” e dell’inconfondibile odore di cloro in piscina, che incontriamo nella quotidianità estiva e che nel tempo sono stati ammantati anche da qualche falso mito. In questo articolo ho deciso di indagare questi profumi familiari e di capire, attraverso la scienza, da dove arrivano davvero.
Odore di sole: perché la pelle e il bucato profumano dopo essere stati al sole?
Capita spesso di sentire un odore particolare sulla pelle delle persone che sono state all’aperto. Nulla a che vedere con il sudore, ma parliamo di un odore dolce e piacevole, che sembra sprigionarsi dai vestiti o dalla pelle, tanto che ho sentito ancora utilizzare l’espressione “odore di sole”. Il sole in sé non ha ovviamente un odore o, se ce l’ha, noi non possiamo sentirlo. Quindi in questo caso parliamo di “l’odore” dell’aria aperta. Ed è qui che la questione si fa più interessante, perché abbiamo scoperto che l’aria ha davvero odori diversi a seconda che sia una giornata calda e soleggiata quanto piuttosto una fredda. Non è però una questione di sole in sé, ma di come si muovono le molecole odorose. Nell’aria calda si diffondono liberamente, mentre in quella fredda si muovono più lentamente. E se ci pensiamo, questo lo viviamo tutti i giorni quando ci facciamo il caffè: quando è caldo, il suo profumo è invitante; ma se lo lasciamo raffreddare sulla scrivania per ore, a fine giornata non avrà più lo stesso effetto. Ecco perché ogni stagione ha un odore diverso, e l’estate in particolare ci regala note fresche, agrumate, “solari”. Ma non è tutto.
L’esperimento: come si forma l’odore di bucato steso al sole
“L’odore di sole” lo possiamo sentire però anche sul bucato steso: un odore buono, fresco, che tutti riconoscono e reputano piacevole, su cui abbiamo scritto poesie e che viene imitato in candele profumate e deodoranti per ambienti. In questo caso, abbiamo anche diversi studi scientifici e una spiegazione plausibile. In uno studio pubblicato sulla rivista Environmental Chemistry, alcuni ricercatori hanno esaminato degli asciugamani stesi all’aperto, nel tentativo di individuare la fonte precisa del loro profumo caratteristico. Ogni asciugamano è stato lavato tre volte con acqua ultra pura, poi steso in tre luoghi diversi: all’interno di un ufficio, sul balcone all’ombra di una copertura di plastica e sul balcone esposto alla luce diretta del sole. Una volta asciutti, gli asciugamani sono stati sigillati in un sacchetto speciale e poi sono state analizzate le molecole odorose. Gli scienziati hanno effettuato analisi simili anche su un sacchetto vuoto, su un asciugamano non lavato e sull’aria presente nelle diverse aree di asciugatura. Confrontando i profili chimici degli asciugamani sperimentali con quelli dei campioni di controllo e tra loro, i ricercatori sono riusciti a individuare quali composti comparivano solo quando gli asciugamani bagnati venivano stesi al sole. L’asciugatura all’aria aperta, in particolare sotto il sole, ha generato in maniera esclusiva una serie di composti chimici appartenenti alle famiglie delle aldeidi e dei chetoni. Si tratta di molecole organiche volatili che, pur essendo presenti in quantità molto ridotte, sono facilmente percepite dal nostro olfatto grazie alla loro diffusione in natura, soprattutto nelle piante aromatiche e negli oli essenziali utilizzati in profumeria. Il nostro naso, infatti, è estremamente sensibile a queste sostanze, che evocano odori familiari e spesso gradevoli. In particolare, gli asciugamani stesi al sole hanno iniziato a rilasciare molecole come il pentanale — tipico del profumo speziato del cardamomo —, l’ottanale — che richiama fragranze agrumate e fresche — e il nonanale, che ha un odore dolce e floreale simile a quello delle rose.
Ma da dove provengono queste sostanze? Una delle ipotesi più accreditate è che entrino in gioco reazioni chimiche attivate dall’ozono, un gas presente nell’atmosfera noto per la sua capacità ossidante. Questo composto, entrando in contatto con alcune sostanze normalmente presenti nell’ambiente o sul tessuto stesso, può modificarle trasformandole in nuove molecole, tra cui appunto aldeidi e chetoni, capaci di conferire al bucato il caratteristico odore di “fresco” e “pulito”.
Tuttavia, secondo i ricercatori un ruolo ancora più importante è svolto direttamente dalla luce solare. In particolare, la componente ultravioletta della luce solare sarebbe in grado di “eccitare” alcune molecole, rendendole instabili e trasformandole in radicali liberi, composti chimici molto reattivi che tendono a combinarsi con le molecole circostanti. Queste reazioni innescano una cascata di trasformazioni che portano alla formazione di nuove sostanze volatili, comprese appunto molte delle aldeidi e dei chetoni osservati.
Un aspetto interessante, sottolineato dalla ricercatrice Silvia Pugliese, che ha firmato questo studio, è il possibile ruolo dell’acqua residua presente nei tessuti bagnati. L’acqua potrebbe agire come un “concentratore” naturale, raccogliendo molecole reattive e amplificando l’effetto della luce solare, un po’ come una lente d’ingrandimento che focalizza i raggi del sole. Questo meccanismo contribuirebbe a velocizzare e intensificare le reazioni fotochimiche sulla superficie del tessuto, rendendo possibile la formazione del complesso bouquet aromatico che associamo all’odore del bucato steso al sole. Lo stesso meccanismo avviene anche su altre superfici, ma probabilmente sui vestiti dura più a lungo perché le fibre “intrappolano” le molecole.
Odore di mare: davvero sentiamo lo iodio?
È un odore che evoca immediatamente l’estate. Alcuni parlano di “odore di salsedine”, altri di “odore di iodio”. Chiudiamo gli occhi e sentiamo note salmastre, alghe, legni bagnati, vento. Ma che cosa stiamo davvero annusando?
In realtà, non stiamo respirando davvero iodio. Lo iodio elementare è un gas poco presente in forma libera nell’atmosfera e non ha, di per sé, un odore riconoscibile a basse concentrazioni. Quando sentiamo dire che “l’aria di mare contiene iodio” o che “respirare lo iodio fa bene”, siamo di fronte a un luogo comune. È vero che alcune reazioni tra alghe marine e l’ambiente rilasciano microtracce di composti contenenti iodio nell’atmosfera, ma le quantità sono talmente minime da non avere alcun effetto benefico diretto per l’organismo, né tantomeno possono essere “respirate” nel senso fisiologico del termine.
Lo iodio è un elemento fondamentale per la salute — in particolare per il corretto funzionamento della tiroide — ma va assunto attraverso l’alimentazione, non per via inalatoria. Il sale iodato, i crostacei e alcune alghe ne sono buone fonti. Respirare l’aria di mare può essere piacevole e rilassante, ma non ha proprietà curative legate allo iodio.
Quello che annusiamo in riva al mare è un mix complesso di composti volatili prodotti da microrganismi marini, alghe e residui organici in decomposizione. Tra questi troviamo il dimetilsolfuro (DMS), una sostanza che ha un ruolo chiave nell’aroma “tipico” del mare. È noto per il suo odore intenso, che può risultare sgradevole se isolato, simile a quello di alcuni alimenti fermentati o cotti. Circa il 40% del DMS presente a livello globale viene prodotto da alghe marine, che lo rilasciano durante il loro ciclo vitale.
Intervengono poi i bromofenoli: composti aromatici contenenti almeno un anello benzenico con gruppi ossidrilici (-OH) e bromo (-Br). A questi si deve il profumo vagamente “iodato” che percepiamo vicino al mare e che ritroviamo anche in pesci e molluschi pescati in natura. Nei pesci d’allevamento, invece, questa nota olfattiva è molto più debole, proprio perché i bromofenoli non vengono prodotti dagli animali stessi, ma da alcuni organismi con cui gli animali selvatici entrano in contatto.
In ultimo, intervengono dictioptereni, feromoni sessuali emessi da diverse specie di alghe brune. Presenti naturalmente nell’acqua di mare, sono responsabili dell’aroma tipico delle alghe essiccate, che spesso associamo alla costa e alla spiaggia. Anche se meno noti, contribuiscono a quella nota vegetale e leggermente marina che percepiamo avvicinandoci all’oceano o annusando alghe esposte al sole.
Perché la piscina ha un odore così forte di cloro?
L’odore della piscina è inconfondibile: pungente, intenso, e per molti legato all’infanzia, all’estate, ai pomeriggi passati a mollo tra schizzi e risate. Spesso si crede che quel tipico odore provenga dal cloro usato per disinfettare, ma non è propriamente così. Quello che sentiamo è il risultato della reazione tra il cloro e sostanze organiche presenti nell’acqua, come sudore, pelle morta, urina o cosmetici. Queste reazioni chimiche generano composti chiamati clorammine, responsabili del classico “odore di piscina” e, in alcuni casi, anche del bruciore agli occhi. Le clorammine, dunque, non indicano un’acqua pulita, ma al contrario un’acqua in cui il cloro sta lavorando per neutralizzare contaminanti organici. Quando il cloro entra in contatto con sostanze contenenti azoto, come l’ammoniaca (presente ad esempio nel sudore o nell’urina), si innescano reazioni chimiche che portano alla formazione di diversi sottoprodotti chiamati clorammine. A seconda del numero di atomi di cloro che sostituiscono quelli di idrogeno nella molecola originaria di ammoniaca, si formano monocloramina, dicloramina e tricloramina. La monocloramina, in alcuni casi, viene perfino utilizzata volontariamente come agente disinfettante. Le altre due, invece, sono quelle che producono il tipico — e spesso sgradevole — odore che associamo all’acqua di piscina.
Paradossalmente, più l’odore è forte, meno “cloro libero” c’è effettivamente nell’acqua, ovvero meno disinfettante attivo è disponibile per mantenere l’acqua igienica. Questo perché il cloro ha già reagito con contaminanti organici, formando clorammine. Quindi, un odore pungente non è segno di pulizia, ma il contrario: indica che la piscina è satura di residui organici e che sarebbe necessario aggiungere nuovo cloro per ristabilire l’equilibrio igienico.
Scusate se vi ho rovinato il prossimo bagno e buona estate!
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Eva Munter
Eva Munter è una chimica e divulgatrice scientifica appassionata di profumeria, autrice del progetto “Chimica in Pillole”, con cui racconta al grande pubblico le molecole che abitano il nostro quotidiano, dai profumi agli alimenti, dai materiali ai cosmetici.
Con uno stile diretto, ironico e accessibile, Eva rende la scienza olfattiva comprensibile e affascinante anche per i non addetti ai lavori.
Collabora come docente con Ateneo dell’Olfatto, dove tiene corsi e lezioni dedicati alla chimica del profumo, alla composizione molecolare delle fragranze e alla storia scientifica delle materie prime.
Il suo approccio unisce rigore scientifico, esperienza di laboratorio e una grande capacità narrativa, portando chi legge o ascolta a scoprire quanto possa essere sorprendente il mondo che si cela dietro ogni goccia di profumo.